Il blocco delle concessioni minerarie di uranio su più di 400 mila ettari di terra demaniale che circonda il Grand Canyon, richiesta dai nativi americani e accolta da Obama nel 2012, è oggi messa in discussione da politici dell’Arizona che vorrebbero che il presidente Trump la revocasse per far crescere l’economia locale.
La tribù Havasupai ha iniziato una causa nel 2009 per preservare “il polmone sacro” del canyon ed è in attesa dell’esito dell’appello del 2016. Con la ripresa di questa materia prima, infatti, nel 2007 erano state riattivate tre miniere, senza che gli Havasupai venissero consultati.
Gli Havasupai, che da secoli vivono nella valle sul fondo del Grand Canyon, avevano già contestato in giudizio l’autorizzazione del 1986 per lo sfruttamento di uranio nel parco nazionale, dove si trova la loro riserva. Nonostante la minaccia alle falde acquifere, quella battaglia venne persa; ma per una svolta inattesa del destino, nel 1991, proprio quando le trivellazioni stavano per iniziare, il crollo internazionale del prezzo aveva fatto chiudere i battenti alla compagnia estrattiva.
Quest’anno, scavando a una profondità oltre i 400 metri, un tunnel è stato allagato da fonti sotterranee. Secondo rapporti della stessa compagnia, l’acqua del pozzo di contenimento conteneva il triplo dei livelli di uranio considerati sicuri per il consumo umano.
Questo articolo è stato pubblicato dalla rivista online dell’associazione politica Liberi Cittadini.
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Osservo con piacere che Il Toro e la Bambina dà grande spazio ai primi popoli. Avevo già letto con interesse: “Cento giorni di governo in Perù”, “Guerre dimenticate: Mindanao” e “Popoli indigeni”.
Si tratta di una nuova categoria denominata ‘Calumet’ e dedicata alle rivendicazioni, le proposte e le lotte, delle nazioni indigene nel mondo. Storicamente tanta geopolitica si è costruita sulla loro sopraffazione fino al genocidio.