L’Indonesia ha intrapreso un programma di vasta scala per l’estrazione e la fusione di nichel che ha l’obiettivo di fare del paese un importante fabbricante di batterie per veicoli elettrici. Ampie porzioni dell’isola di Halmahera, nelle Molucche, a circa 1.500 chilometri a nord-ovest di Jakarta, sono state assegnate a compagnie internazionali francesi, cinesi, tedesche, e statunitensi. Si tratta di circa 200 mila ettari, il 90 per cento dei quali coincide con zone protette. Le accurate ricerche di Climate rights international (Cri), e della Climate initiative dell’università di Berkeley, entrambe basate in California, così come le immagini satellitari del parco industriale Indonesia Weda Bay (Iwip) – creato nel 2018 dalle imprese statali Pt aneka tambang e Strand minerals -, provano la demolizione di 5.331 ettari di foresta tropicale.
Fonti ufficiali indicano che a Halmahera ci sono alcune delle più imponenti riserve di nichel del pianeta che corrispondono al 42 per cento del totale. Il minerale non è fondamentale per le batterie elettriche, ma considerato il passo dell’ampliamento del mercato, si sono insediati diversi investitori, fra i quali Tesla, con la firma di contratti con fornitori per miliardi di dollari. La Action for people ecology and emancipation (Aeer), organizzazione indonesiana di advocacy sociale e ambientale, riporta che la Weda Bay nichel (Wbn) è una joint-venture di cui sono comproprietarie la francese Eramet, 43 percento, e le cinesi Tsingshan, Huayiu e Zhenshi, per una somma del 57 per cento, dove la prima è responsabile delle operazioni, con una concessione per lo sfruttamento di oltre 45 mila ettari. La Wbn intende aumentare l’attuale tasso di produzione e funzionare per cinquanta anni.
Nell’isola, la più grande dell’arcipelago, si trovano circa 3 mila Hongana Manyawa, cacciatori-raccoglitori nomadi. Negli ultimi decenni, hanno subito un piano di contatto forzato e sedentarizzazione che ha lo scopo di allontanarli dal proprio territorio ancestrale ricco di risorse. Molti vivono in villaggi costruiti dal governo, ma altrettanti sono tornati nella foresta, traumatizzati da una collettività che li stigmatizza, emargina e impoverisce. La Indigenous peoples alliance of the archipelago (Aman per la sigla nella lingua locale) si è fatta portavoce di innumerevoli violazioni dei diritti umani in questo contesto. Come per altre nazioni originarie, il contatto si è rivelato letale. Dalla fine degli anni settanta fino ai primi della decade dei novanta, sono stati esposti a malattie verso cui non avevano difese immunitarie e colpiti da epidemie che hanno provocato sofferenze diffuse e morte.
Secondo l’Asia democracy chronicle (Adc), membro di una rete giornalistica regionale, quattro società agiscono in un raggio che va dai 50 ai 100 chilometri dalla popolazione. Quanti ancora oggi non contattati, intorno ai 500, sono in fuga, sempre più all’interno del bosco, a causa delle attività estrattive, che abbattono gli alberi, danneggiano la terra, e contaminano l’aria e i fiumi; da una parte, provocando distruzione e rendendo impossibile la sopravvivenza di uno stile di vita compatibile con la preservazione della natura, e dall’altra, asserendo di fornire pratiche green nel mondo industrializzato.
In molte occasioni, gli Hongana Manyawa incontattati hanno manifestato, con chiarezza, di non volersi integrare e si difendono dall’esproprio e il saccheggio organizzato. Sebbene non abbiano contribuito, in alcun modo, all’inquinamento, ora rischiano di essere annientati dal passaggio alle auto elettriche di coloro che sono, invece, responsabili dei cambiamenti climatici. L’ultimo rapporto del Mining advocacy network (Jatam per la sigla nella lingua locale), rivela che le inondazioni che hanno sommerso interi abitati sono acutizzate in maniera quasi esponenziale, complici il surriscaldamento globale e le estrazioni.
Questo popolo, studiato dai biologi B.J. Coates e K.D. Bishop, e antropologi della North Maluku muhammadiyah university (Ummu), ha un rispetto profondo per il proprio habitat e la foresta è il ponte per connettersi con l’altra dimensione. Gli alberi hanno anima e sentimenti e, per costruire i ripari, usano solo stecchi e foglie; alle piante viene chiesto il permesso di coglierne i frutti con rituali e offerte. Ad ogni nascita, viene piantato un albero e seppellito il cordone ombelicale tra le radici: il nuovo nato e la foresta cresceranno insieme. Il riposo dei defunti avviene sui rami. Il sociologo Syaiful Madjid dell’Ummu ha definito tre aree nella quali gli Hongana Manyawa svolgono mansioni relazionate alla dimora, il procacciamento del cibo, e la spiritualità, che rimangono separate nella loro valenza pratica simbolica.
Tuttavia, il governo indonesiano continua a ribadire che il nichel è cruciale per le tecnologie a energia pulita, malgrado per la sua manifattura siano necessarie centrali a carbone con annesse strade, fonderie e altre enormi strutture. L’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) stima che per ogni tonnellata di nichel fuso vengano emesse diciannove tonnellate di carbonio, nonostante le vetture elettriche vengano commercializzate come alternativa ecocompatibile a quelle alimentate a combustibili fossili. Il suo trattamento richiede l’utilizzo di agenti chimici e, per ogni tonnellata di metallo processato, si emettono due tonnellate di rifiuti tossici.
Collegate all’industria mineraria indonesiana, ci sono inoltre aziende automobilistiche, come Ford, Volkswagen e Byd. L’ex presidente dell’Indonesia, Yoko Widodo, ha offerto a Tesla una licenza per l’estrazione del nichel. Il gigante chimico tedesco Basf è stato in negoziazione con Eramet per costruire una raffineria a Halmahera. L’investimento combinato del Iwip è di 5 bilioni di dollari con il proposito di giungere a 11, riferisce earthjournalism.net. Gli Hongana Manyawa, però, non hanno mai dato il loro consenso libero, previo e informato per gli interventi in corso sulla loro terra, come previsto dal diritto internazionale e dalla Initiative for responsible mining assurance (Irma). La stessa costituzione dell’Indonesia riconosce in modo specifico la tutela delle tribù indigene e la loro indipendenza sui mezzi di sussistenza.
Il presidente del senato indonesiano La Nyalla Mattalitti, stretto alleato del neo eletto presidente della repubblica Prabowo Subianto, ha dichiarato che gli Hongana Manyawa devono essere salvaguardati. Ha, in aggiunta, esortato il governo provinciale di North Maluku a rivedere i regolamenti di pianificazione territoriale per garantire che le persone non vengano sfrattate. La stampa indonesiana, lo scorso novembre, ha comunicato che il parlamento sta lavorando alla stesura di un disegno di legge sui popoli indigeni.
La drammatica situazione degli Hongana Manyawa riceve attenzione, per la prima volta, al più alto livello istituzionale. Questa, in ogni caso, è giunta in reazione alla diffusione virale di un video, citato dall’organizzazione internazionale Survival International, in cui alcuni Hongana Manyawa si vedono costretti a elemosinare cibo tra i dipendenti della Wbn, responsabile della rovina di quell’ecosistema che gli garantiva la sicurezza alimentare.
Alle affermazioni di LaNyalla è seguito l’annuncio di Tesla, secondo il quale starebbe studiando la fattibilità di una no-go zone per custodire diritti e territori dei gruppi incontattati. Tesla ha inserito l’osservazione nel capitolo sugli impatti sociali e ambientali del suo rapporto annuale 2023, pubblicato a maggio dell’anno scorso. Nel mese di giugno, poi, Basf si è ritirato da Sonic Bay, un progetto da 2.6 miliardi di dollari con Eramet, per la raffinazione del nichel e del cobalto, reperiti dalla Wbn. Anche se la partnership è stata abbandonata, al momento, la Wbn produce senza sosta, in contrasto con gli standard della Irma, in base ai quali la miniera non è certificata.
Per Survival, che con altri si occupa di questa battaglia, è inaccettabile che la crisi climatica venga affrontata con false soluzioni che mietono vite e devastano l’ambiente. Le fabbriche di veicoli elettrici non possono vendere la promessa di un consumo etico, mentre la loro filiera di approvvigionamento stermina un popolo e azzera un ecosistema. Quanti involucrati sono complici di una catastrofe umanitaria che ha già le caratteristiche del genocidio.
Una versione di questo articolo è stata pubblicata da Solidarietà Internazionale, rivista di fatti, storie e racconti dal mondo, del Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionale (CIPSI).
Le foto che appaiono nel blog “Il Toro e la Bambina” sono in molti casi scaricate da Internet e quindi ritenute di pubblico dominio. Eventuali titolari contrari alla ripubblicazione possono gentilmente scrivere a info@iltoroelabambina.it, richiedendone la rimozione.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.