Centinaia di migliaia di anni sono trascorsi prima che la popolazione mondiale raggiungesse il primo miliardo, e in solo meno di 200 anni è diventata sette volte tanto, 7.5 miliardi al momento. Il fattore determinante di questo aumento esponenziale è stato il numero crescente di individui sopravvissuti fino all’età riproduttiva, dovuto a un progressivo miglioramento della qualità della vita e la riduzione della mortalità, accompagnato quindi da cambiamenti nei tassi di fertilità.
La giornata mondiale della popolazione, celebrata ogni 11 luglio dal 1990, ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla relazione fra dinamiche demografiche, ambiente e sviluppo. Sono infatti in atto dei megatrend, come la veloce urbanizzazione – entro il 2050 il 66 per cento della popolazione vivrà nelle città, e la dilatazione dell’aspettativa di vita – dai 64.8 anni dell’inizio dei ’90 ai 70 anni odierni, che avranno ingenti implicazioni per lo sviluppo economico, l’occupazione, il welfare, l’accesso alle risorse, le migrazioni, e la pace sociale, delle generazioni a venire.
Le Nazioni Unite pubblicano proiezioni su base biennale – le più recenti risalgono a luglio del 2015, la cui media è stata spesso corretta verso l’alto, stando a indicare che la popolazione è cresciuta più rapidamente di quanto pensato. La variante media corrente suggerisce che la popolazione mondiale toccherà i 10 miliardi a metà del secolo, per livellarsi sugli 11 miliardi alla fine. Se invece la natalità scendesse meno del previsto si arriverebbe a 16.5 miliardi al concludersi del secolo, e si abbassasse più del previsto la popolazione potrebbe diminuire sino a tornare ai livelli attuali.
Il passato recente ha registrato un’inflessione dei livelli natalità – da 4.5 figli per donna nei primi anni ’70 a circa 2.5, ma si è comunque mantenuta a un passo maggiore della mortalità. Si tratta dell’effetto dei precedenti alti tassi di fertilità, per cui oggi ci sono più donne in età riproduttiva, e determina un numero relativamente alto di nascite, anche se il numero di figli è inferiore. Dopo il 2060, quando tale effetto si sarà esaurito, la crescita della popolazione sarà trainata esclusivamente dai paesi meno sviluppati, dove milioni di persone vivono in povertà e in situazioni di conflitto. Secondo le previsioni più conservatrici, la popolazione in questi paesi raddoppierà entro il 2050, e triplicherà in alcuni.
Le dinamiche demografiche sono il risultato cumulativo delle scelte individuali e delle opportunità che le persone hanno a loro disposizione, e pertanto circoscritte dalle politiche e dalla lungimiranza dei singoli paesi. Quello che emerge dagli scenari presenti e futuri è che demografia e le conseguenti distribuzione della ricchezza e spinte migratorie, sono imperante materia di analisi comune per gli equilibri economici globali, la conservazione del pianeta, e la prevenzione dei conflitti.
Come ben spiega l’articolo, la crescita demografica in Africa è una bomba a orologeria. Nei fatti però l’Europa continua a restare inerte di fronte al dramma che si consuma nel Mediterraneo e ottusa di fronte alle opportunità che l’afflusso di lavoratori giovani può offrire a una regione che invecchia progressivamente.
Papa Francesco ha richiamato l’Europa alle sue responsabilità storiche: “Noi abbiamo come problema principale e purtroppo crescente del nostro tempo, quello dei poveri, dei deboli, degli esclusi, dei quali i migranti fanno parte. I popoli poveri hanno come attrattiva i continenti di antica ricchezza. Il colonialismo partì dall’Europa, grazie al quale diventò la regione economicamente più potente del mondo intero, e per questo motivo continuerà a essere l’obiettivo dei flussi migratori”.
Risultano anche sempre più ciniche le distinzioni di chi ha scoperto la definizione di “rifugiato” nell’ultima ora e vorrebbe separare in maniera meccanica quanti fuggono dalla guerra da coloro che scappano da povertà, malattie e calamità naturali, per accogliere solo i primi e respingere incondizionatamente i secondi.