I tribunali militari israeliani hanno un tasso di condanna del 95 per cento dei crimini attribuiti a dimostranti palestinesi. Ahed Tamimi, una ragazza sedicenne, che rischiava fino a dieci anni di carcere, ha patteggiato una pena di otto mesi di reclusione, e circa 1.500 dollari di ammenda, per aver schiaffeggiato un soldato e averlo spinto fuori a calci dal giardino di casa sua, ammettendo quattro dei dodici capi di accusa che le erano stati mossi, fra i quali aggressione aggravata contro un uomo adulto in assetto da combattimento, nonostante lei fosse disarmata. Catturata nel corso di un raid notturno nella propria abitazione, come se costituisse una grave minaccia per la sicurezza nazionale, e tenuta in custodia fino alla fine del processo, secondo un metodo inappropriato per una minore, ha già scontato gran parte di questa pena sproporzionata in via preventiva, oltre a essere stata sottoposta a interrogatori aggressivi e minacce, senza la presenza di un avvocato o di un tutore. L’asimmetria del conflitto israelo-palestinese è riassunta nell’iconografia di questa bambina e il soldato.
L’incidente ha avuto luogo lo stesso giorno in cui il cugino di quindici anni, Mohammed, era stato colpito alla testa da un proiettile di gomma sparato da un soldato israeliano, per cui è stata poi necessaria la rimozione della parte sinistra del cervello. Dal 2009, a Nabi Saleh, 550 abitanti, villaggio natale di Ahed, circondato da insediamenti illegali, ogni venerdì, dopo la preghiera di mezzogiorno, hanno luogo manifestazioni di resistenza popolare – contro l’occupazione, la perdita delle terre, la sottrazione delle risorse idriche locali, e il complesso sistema di controlli, permessi e posti di blocco – in cui centinaia di civili sono rimasti feriti per l’uso di armi da fuoco, gas lacrimogeni, ed esplosioni da un cannone ad acqua riempito di un liquido nocivo e maleodorante, da parte dell’esercito. L’arresto di Ahed Tamimi è l’esempio di una brutale repressione in atto da decadi. Al momento, ci sono circa 350 bambini palestinesi nelle carceri israeliane, soggetti a isolamento, bendati e con le mani legate, e a violenza fisica e psicologica.
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Assolutamente da rileggere l’intervista a Izzeldin Abuelaish “Ritorno al futuro. Il processo di pace israelo-palestinese” del 2 febbraio del 2017. Un pezzo esaustivo e ancora molto attuale.
Migliaia di feriti, e alcune morti, dal 30 marzo, inizio della “Marcia del ritorno”, manifestazione contro la confisca delle terre palestinesi, avvenuta quando fu creato lo Stato di Israele.