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Pillole: Crimini di guerra – Il Toro e la Bambina

Pillole: Crimini di guerra

Sebbene la base giuridica del diritto internazionale sui modi bellici sia stabilita dalle quattro convenzioni di Ginevra (1949), i relativi protocolli addizionali (1997), e il Codice di Norimberga (1947), contenente un’articolata normazione per talune fattispecie di crimini di guerra, l’adesione a questi strumenti, e alla Corte penale internazionale (2002), non è stata universale, e nemmeno tutti i paesi firmatari si sono impegnati a mantenere i valori enunciati. Di fatto, le convenzioni sono state violate, e le disposizioni della Corte eluse, in maniera sistematica, dagli stati e differenti parti in conflitto, approfittando delle ambiguità del diritto, o ricorrendo a manovre di natura politica, per sottrarsi agli obblighi prescritti.

L’ortodossa applicabilità, a fini sanzionatori, della previsione penale per i crimini di guerra, che rappresentano un tema di centrale importanza nell’ambito del diritto umanitario, viene resa labile da supposte discordanze con le costituzioni dei singoli paesi, in quanto fonti supreme di diritto, o da sedicenti incongruenze con gli ambiti operativi di belligeranza del momento. Si rileva, inoltre, una variabilità di significati nella dialettica politica, in quanto la determinazione della configurabilità di reato in giurisprudenza, e la disposizione dei suoi elementi costitutivi, avviene in seno agli ordinamenti nazionali.

In questo contesto, persino la definizione di “stato di guerra”, spesso, viene messa in discussione in modo paradossale. Oppure si impiegano locuzioni che, nel tentativo di provvedere una giustificazione legale ad azioni violente, collocano quest’ultime in altri ambiti, di maggiore accettabilità nell’opinione pubblica, come le operazioni di sicurezza. Tutto ciò nonostante le convenzioni di Ginevra abbiano un esplicito grado di applicazione in tutte quelle situazioni di ostilità che provocano gradi di instabilità, locale e generale, e hanno gravi ripercussioni sulla popolazione civile.

La perseguibilità dei crimini di guerra riposa, quindi, su accordi ad hoc fra organizzazioni internazionali, sovranazionali e militari. Fra questi, si ricordano le procedure giudiziarie del Tribunale criminale internazionale per la ex-Yugoslavia e il Tribunale criminale internazionale per il Ruanda, istituiti dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sulla base del capitolo VII dello Statuto dell’Organizzazione. Tuttavia, la guerra è stata fatta anche sotto l’egida dell’Onu, quando le operazioni di peacekeeping hanno assecondato il gioco di interessi geopolitici dei principali attori globali.

I crimini di guerra sono violazioni intese come attentati ai valori sui quali è fondata la comunità internazionale e sono punibili sia in riferimento alle protezioni stabilite dalle leggi di guerra e dalle regole e procedure di combattimento, sia come atti contrari al quadro consolidato del diritto umanitario. Ogni singola violazione da parte di una o più persone, militari o civili, costituisce un crimine di guerra. Pertanto, i crimini di guerra possono consistere anche in atti unici o isolati, ma devono essere commessi contro persone di nazionalità nemica.

Nella prevalenza delle interpretazioni, i crimini di guerra comprendono:

  • maltrattamento dei prigionieri di guerra;
  • aggressioni a quanti espongono una bandiera bianca indicante un cessate il fuoco,o l’uso ingannevole della stessa per dissimulare la preparazione e l’inizio di un attacco;
  • mancato rispetto dei segni distintivi della Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa e altri segni protettivi, o il loro ricorso fraudolento;
  • distruzione o appropriazione di beni non giustificate da necessità militari o compiute su larga scala in maniera illegale o arbitraria;
  • assalti intenzionali contro i civili;
  • stupro e altre violenze sessuali;
  • attacchi contro beni che non sono obiettivi militari, contro edifici di culto, ospedali, monumenti e beni storici e artistici, contro mezzi e persone delle missioni di soccorso umanitario e di peacekeeping;
  • uso di gas tossici, armi biologiche, armi e proiettili non consentiti;
  • detenzioni illegali;
  • tortura o trattamento inumani, inclusi gli esperimenti biologici;
  • grandi sofferenze o gravi lesioni all’integrità fisica o alla salute;
  • deportazioni e trasferimenti, inclusa la deportazione degli occupati e il trasferimento della propria popolazione nei territori occupati;
  • cattura di ostaggi;
  • riduzione in schiavitù;
  • danni diffusi e duraturi all’ambiente naturale.

Vale, comunque, la pena di ricordare che la Carta delle Nazioni Unite (1945) definisce la guerra di per sé una “azione criminale” con tutto quello che implica e contiene. Malgrado la codificazione dei crimini di guerra, compiuti durante il secondo conflitto mondiale, e le risultanze del processo di Norimberga, siano transitate nel diritto positivo e nelle coscienze di molti, non solo la storia continua a ripetersi, ma le voci che richiamano alla costruzione di un pensiero e una prassi pacifista strutturale e sostenuta rimangono per lo più inascoltate.

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