Da un anno a questa parte, innumerevoli sono state le immagini di minori morti e feriti poste all’attenzione mondiale. Dati ufficiali indicano che ne sono stati uccisi 14 mila, di cui 3.100 sotto i cinque anni, 710 con meno di un anno d’età, e molti nati e deceduti in guerra. Tuttavia, questa è in breve divenuta l’immagine simbolo di Gaza che l’Unicef chiama “il cimitero dei bambini”.
Tala era sopravvissuta a 332 giorni di bombardamenti, fame, privazioni, e continua incertezza. Negli scorsi undici mesi, con i genitori e i fratelli, era fuggita a piedi da un posto all’altro, spesso nel cuore della notte. Sognava di tornare a scuola e diventare dentista, anche se nella Striscia di Gaza il 60 per cento delle case è andato distrutto, così come la maggioranza degli edifici scolastici, e le poche aule rimaste sono diventate rifugi per sfollati.
Uno dei tanti attacchi non annunciati – in contrasto con quanto disciplinato dalla condotta bellica per limitare le perdite di civili – sventra un appartamento in un edificio vicino, sterminando un’intera famiglia con tre figli piccoli. Tala ha raggiunto l’androne dell’ingresso e una scheggia le si conficca nel collo. Il padre sente la deflagrazione, si precipita giù per le scale e vede la scena di un carnaio in cui sono rimasti feriti e uccisi altri compagni. La bambina esala l’ultimo respiro in pochi minuti.
Tala voleva solo giocare. Spesso chiedeva al padre perché dovessero vivere circondati dalla violenza. Aveva un desiderio: una festa di compleanno per il fratello più piccolo con regali e amici per non pensare alla paura e alla devastazione. Questo non è il mondo che vogliamo: fermare le guerre è un dovere.
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