Le parole della Bambina: Trasformazione dei conflitti
La tecnica tradizionale di gestione dei conflitti porta a raggiungere quattro risultati schematici: 1. A vince, B perde; 2. B vince, A perde; 3. né A né B sono pronti a porre fine alle ostilità; 4. si raggiunge un compromesso che non soddisfa in pieno né A né B. Il sociologo norvegese Johan Galtung propone una quinta strada per superare queste modalità che ritiene insoddisfacenti, dove sia A sia B hanno la possibilità di essere vincitori.
La prospettiva innovativa di Galtung prende le mosse dallo studio del satyagraha, etica e metodo di lotta gandhiano, che stabilisce un nesso inscindibile tra i mezzi e i fini dell’azione politica, e offre la non violenza come metodo sperimentale di una nuova scienza dei conflitti. In sintesi, il fine della pace deve essere perseguito con mezzi di pace, marcando la distanza con l’egemonica scuola statunitense del conflict resolution, o l’ossimoro del peace enforcement, che pretendono di dirimere tutto sul fronte dei comportamenti, mentre si trascurano le cause e si ignorano i cambiamenti strutturali necessari per superare l’iniquità e la guerra.
La peace research acquisisce così uno statuto scientifico più ampio della visione in prevalenza giuridica delle relazioni internazionali e supera la tradizione di autori che focalizzano l’attenzione in forma esclusiva sulle trattative per il disarmo. Vengono introdotte acquisizioni teoriche sulla distinzione tra violenza diretta e violenza strutturale, la radicazione della violenza nelle culture dei popoli, i nessi tra conflitto e sviluppo, tra sicurezza e transarmo, il legame inscindibile tra pace e giustizia. L’approccio olistico di Galtung fonda una sociologia impegnata per la pace, competente a sviluppare l’immaginazione di mondi possibili.
Il modello, di ispirazione costruttivista e carattere sociorazionale, fa ricorso ai concetti di concretezza e creatività per ricollocare la dimensione conflittuale a un livello superiore, connotando ipotesi di soluzione di mutuo beneficio, a partire dai bisogni umani fondamentali di benessere fisico, libertà e identità. Si propone di capire come nel corso dei conflitti sia possibile, preservando le persone, costruire alternative funzionali alla violenza.
Esiste, infatti, una netta distinzione tra il conflitto, che è lo stato di una relazione, e la violenza, che è una delle maniere di gestirlo, o un comportamento. Un conflitto si configura nella somma di due elementi: la struttura, composta dai soggetti e dagli obiettivi diversi e contrastanti che questi si prefiggono; e l’arena, costituita dalle azioni pratiche che gli attori sociali compiono in scenari di competitività. Secondo Galtung, considerare il conflitto come la fisiologia, e non la patologia, in sostanza concentrarsi sul peacekeeping, invece che sul peacebuilding, sta all’origine del fallimento nel promuovere la pace sul piano internazionale.
In tale razionalità, un conflitto non può essere risolto, viene trasformato o, nel linguaggio di Galtung “trasceso”, affinché ciò che sembrava incompatibile e bloccato, si apra a un’altra prospettiva. La ridefinizione non implica a forza l’aggiunta di elementi, piuttosto la ricombinazione di quelli esistenti. Non si tratta di un compromesso o un negoziato, rinuncia o fusione di interessi, è un far chiarezza sui fattori specifici delle situazioni, assumere una consapevolezza e, allo stesso tempo, affinare una capacità esplorativa, per neutralizzare la dinamica distruttiva, e permettere la creazione di un’idea ex novo pensata da tutte le parti coinvolte.
Plasmare insieme degli obiettivi è più complesso rispetto a ottenere un patteggiamento. Richiede ricerca, esercizio. Incarna uno stile di pensiero, un modo di essere e stare nella comunità, secondo una logica costruttiva. Bisogna saper individuare le aspirazioni legittime di ogni stakeholder e porle su un piano di reciproca accettabilità che non esisteva in precedenza. L’obiettivo finale è rappresentato dalla riconciliazione e, quindi, da premesse che disinneschino il perpetuarsi del circolo vizioso dell’aggressività. Compito della non violenza è costruire società giuste, in quanto la pace non è solo assenza di guerra.
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano indipendente online di geopolitica e politica estera Notizie Geopolitiche.
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