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Almanacco: Operazione Margine di Protezione / Conflitto israelo-palestinese – Il Toro e la Bambina

Almanacco: Operazione Margine di Protezione / Conflitto israelo-palestinese

Dopo sette anni di aspre divisioni, nel 2014, Fatah e Hamas, i due principali fronti dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) e dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), maturarono la decisione di mettere fine alla lotta intestina che aveva monopolizzato e paralizzato la vita civile nei territori occupati. Un accordo formale di riconciliazione venne siglato il 23 aprile, con una dichiarazione congiunta per il ritorno al voto, prevedendo elezioni democratiche, politiche e amministrative, nell’ottobre successivo. Unione Europea, Nazioni Unite, Stati Uniti, Cina, India, Russia e Turchia concordarono di lavorare con il governo di unità nazionale, entrato in carica il 2 giugno, nella convinzione che avrebbe potuto avere un impatto significativo sul processo di pace più volte interrotto tra l’Anp e Israele.

Ciò nonostante, Benjamin Netanyahu, allora primo ministro al terzo mandato per il Likud, partito nazionalista conservatore, il giorno prima della riconciliazione, affermò che questa avrebbe “rafforzato il terrorismo” e che la comunità internazionale non avrebbe dovuto riconoscere il governo di unità nazionale. Pertanto, Mahmud Abbas, leader di Fatah e presidente dell’Anp e dell’Olp, doveva scegliere tra la pace con Hamas e la pace con Israele. Rese, inoltre, pubblico che non solo non avrebbe negoziato con il nuovo governo, ma che avrebbe piuttosto spinto per attuare misure punitive. Poco dopo la notifica dell’accordo, presiedette un consiglio di sicurezza che lo autorizzò a imporre non specificate sanzioni contro l’Anp.

Il 14 maggio, alla vigilia del Giorno della Nakba, commemorazione con la quale si rievoca l’estromissione nel 1948 di buona parte degli abitanti arabi dai confini del nascente Stato di Israele, il ministro delle abitazioni e delle costruzioni presentò offerte per 1.500 unità di insediamento in Cisgiordania e Gerusalemme Est, mossa definita da Uri Ariel, capo del partito sionista religioso di estrema destra, come “un’appropriata risposta sionista al governo del terrore palestinese”. Altre misure si concretizzarono a stretto giro con il lancio di un attacco aereo a nord della Striscia di Gaza. L’operazione Margine di Protezione ebbe inizio l’8 luglio di quello stesso anno, con l’intento dichiarato di fermare il lancio di missili verso il proprio territorio, tuttavia avvenuto in risposta alla violenza delle dichiarazioni e la gravità delle azioni messe in atto proprio dal governo israeliano.

Il 17 luglio ebbe luogo l’invasione di terra con l’obiettivo di distruggere la rete di tunnel di Hamas. Nel corso del conflitto molti cessate il fuoco – compreso uno, il 5 agosto, durante il quale tutti i soldati israeliani si ritirarono – furono violati. I morti a Gaza furono oltre 2.300, tra cui quasi 600 minori, e 11.100 persone subirono ferimenti. I caduti di Israele ammontarono a 66 soldati e 5 civili compreso un bambino, e 469 soldati e 256 civili vennero feriti. Il ministro della salute di Gaza, le Nazioni Unite, e alcuni gruppi umanitari, stimarono che le vittime tra i civili palestinesi furono circa il 70 per cento del totale.

Margine di Protezione ebbe termine il 26 agosto seguente, con l’annuncio di una tregua duratura raggiunto dalle parti in conflitto al Cairo. Il 14 luglio l’Egitto aveva suggerito una tregua basata su tre punti, secondo i quali: Israele avrebbe dovuto porre fine a tutte le ostilità contro la Striscia di Gaza via terra, mare e aria, e impegnarsi ad astenersi dal condurre incursioni di terra contro Gaza e a colpire civili; tutte le fazioni palestinesi a Gaza avrebbero dovuto cessare le ostilità condotte contro Israele dalla Striscia di Gaza per terra, mare, aria e sottoterra, e impegnarsi ad astenersi dal lanciare qualsiasi tipo di razzi e attaccare le frontiere o colpire i civili; i valichi avrebbero dovuto essere aperti; e il passaggio delle persone e dei beni attraverso le frontiere avrebbe dovuto essere facilitato una volta che la sicurezza sul campo si fosse stabilizzata. Israele espresse il proprio assenso alla proposta egiziana, ponendo come ulteriore condizione, la distruzione degli armamenti di Hamas e dei suoi tunnel sotterranei. Hamas rifiutò di distruggere le proprie armi e reclamò, invece, la riapertura del valico di Rafah sotto la supervisione dell’Onu, e la liberazione dei palestinesi arrestati in Cisgiordania.

La stampa araba pubblicò una presunta proposta di tregua di Hamas in dieci punti, non confermata dall’organizzazione. Secondo tale documento, Hamas avrebbe anche richiesto: l’allontanamento dal confine dei mezzi corazzati israeliani; la riconsegna ai contadini palestinesi della cosiddetta zona cuscinetto ai confini con Israele e interdetta ai palestinesi; la riapertura dei valichi di frontiera alle persone e alle merci; la riabilitazione del porto e dell’aeroporto sotto la supervisione Onu; la definizione a sei miglia nautiche del limite delle acque territoriali e l’utilizzo delle stesse per la pesca; la ricostruzione della zona industriale; l’emissione di permessi d’ingresso in territorio israeliano per gli abitanti di Gaza; l’impegno israeliano a non interferire negli affari interni palestinesi; e l’estensione della tregua a dieci anni.

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