La filosofia della pace

Citando le parole del filosofo Jean-Marie Muller, uno dei più importanti pensatori contemporanei sulla pace, “il mondo si trova in uno stato di violenza e la sua esistenza stessa è sotto minaccia”. Muller ha dedicato la propria vita alla ricerca, e la formazione per l’azione pubblica, in risposta alle sfide poste dalla guerra, a partire dall’obiezione di coscienza che gli è costata tre mesi di detenzione e la privazione dei diritti civili per cinque anni.

“Il vangelo della non-violenza” (1969) dà inizio un’indagine cinquantennale ed evidenzia le contraddizioni dei principi di legittima violenza e guerra giusta, avvallati dalla Chiesa, così come dai poteri nazionali e transnazionali, dove la nonviolenza viene indicata come una strategia efficace per concretizzare la giustizia, la pace e la libertà. “Il principio della non-violenza, percorso filosofico” (1995) interroga, inoltre, sul ruolo del filosofo come militante.

Muller giunge alla conclusione che il filosofo non può tenersi fuori dalla disamina e il tentativo di composizione dei dissidi sociali e politici e che un impegno confacente in questa direzione permette di innalzare la qualità speculativa. Definisce, quindi, la filosofia una riflessione sull’azione e si adopera a una riabilitazione filosofica della militanza. Fedele a tale principio, aderisce a mobilitazioni di spessore su diverse tematiche che occupano lo spazio mediatico e delle coscienze.

Nel 1970, intraprende uno sciopero della fame per denunciare la vendita di velivoli da combattimento Mirage al governo dittatoriale del Brasile che suscita un dibattito generale sul commercio delle armi. Nel 1973, integra la brigata per la pace nel Pacifico contro i test nucleari francesi, protesta che porrà un epilogo a questi esperimenti in atmosfera. Nel 1978, in solidarietà con gli abitanti del Larzac, contrari all’ampliamento di una base dell’esercito, ottiene l’attenzione di François Mitterrand, il quale in seguito disporrà per l’abbandono del progetto.

L’attivismo alimenta la teoria e, nel manuale “Strategia dell’azione non-violenta” (ristampato nel 1981), quest’ultima viene esposta in maniera rigorosa, sviluppando i principi di una dottrina originale che prende le mosse dallo studio delle battaglie condotte da Gandhi e Martin Luther King. Con la medesima prassi e lo stesso fine, scrive “La lotta non-violenta di César Chavez”, lo storico leader dei braccianti agricoli messicani negli Stati Uniti.

Per dare espressione politica alla proposta pacifista, costituisce il Movimento per un’alternativa non-violenta (Man), federazione di gruppi su scala nazionale, che produrrà anche candidati per le elezioni legislative, e di cui è per lungo tempo portavoce. Assiste, poi, la campagna per una nuova legge sull’obiezione di coscienza e, nel 1982, entra a far parte del comitato consultivo che ne otterrà l’approvazione dello status legale.

Per Muller, l’obiettore deve assumersi responsabilità in caso di aggressione, lavorando intorno alle possibilità della resistenza nonviolenta. Tali valutazioni su un’altra opzione di difesa vengono plasmate in “Avete detto pacifismo? Dalla minaccia nucleare alla difesa civile non-violenta” (1984), e con “La dissuasione civile” (1985), commissionato dal ministero della difesa della Francia e pubblicato dalla Fondazione per gli studi di difesa nazionale, ne viene attestata la pertinenza come metodo applicato alla dottrina militare.

Crea l’Istituto di ricerca sulla soluzione non-violenta dei conflitti (Irnc), con il quale realizzerà studi e congressi sul sostegno civile alla pace. Dal 1985 al 2000, l’Irnc collabora con il segretariato generale della difesa nazionale. Oltre a ciò, Muller coadiuva associazioni globali per i diritti umani e partecipa a missioni di pace in Ciad, Colombia, Iraq, Libano, Nicaragua.

Nel 1987, incontra i principali esponenti dell’opposizione democratica polacca: la resistenza civile aveva tradotto illegalmente “Strategia dell’azione non-violenta” e ne aveva fatto un riferimento intellettuale e politico. La chiave di lettura della nonviolenza applicata alla situazione dei totalitarismi dell’Est si rivelerà feconda e culminerà nella caduta del muro di Berlino nel 1989.

Anticipando questi avvenimenti, scrive nel 1985 “È pur vero che, sebbene il potere assoluto sia ben equipaggiato per spezzare qualsivoglia rivolta violenta, lo stesso si trova disorientato nel far fronte alla resistenza non-violenta di tutto un popolo che si affranca dalla paura. […] Quindi la non-violenza, che le posizioni dottrinarie suppongono faccia il gioco dei regimi totalitari, in realtà si rivela essere l’arma più idonea per contrastarli”.

Il merito di Muller è stato quello di liberare il campo della nonviolenza dai malintesi nei quali era stata incuneata e dotarla di un contenuto razionale e coeso. Ha reso credibile l’ipotesi, discutibile, ovvero degna di essere discussa. In definitiva, ha aperto un nuovo orizzonte per reagire al clima di violenza dominante. Per Muller, la nonviolenza non è solo una forma di dissenso o resistenza, ma è un’esigenza morale e una forma propositiva.

Dal momento che la violenza termina sempre per tradire e corrompere lo scopo che pretendeva servire, è essenziale cercare quelli che Muller enuncia “equivalenti funzionali” coerenti con l’obiettivo. Con un ragionamento cartesiano, il filosofo esprime la saggezza e la forza della nonviolenza e avvia una delegittimazione della violenza, intesa come perno dei sistemi che assoggettano e impoveriscono le persone, e causa di discriminazione ed emarginazione.

Parte del processo è il “Dizionario della non-violenza” (2005), grazie al quale Muller offre il linguaggio per pensare e agire la non-violenza nella sua complessità, e scomporre il lessico che giustifica la violenza. A ciò si aggiungono i due principali filoni di interesse degli ultimi anni: la nonviolenza in seno al cristianesimo e l’islam, e il disarmo nucleare unilaterale della Francia.

Le idee di Muller permeano la conferenza “Non-violenza e pace giusta: un contributo alla comprensione della non-violenza e l’impegno dei cattolici”, organizzata nel 2016 dal Consiglio pontificio giustizia e pace e Pax Christi internazionale, con ottanta specialisti di Africa, America, Asia, Medio Oriente e Oceania. Il documento conclusivo propone un rinnovamento profondo del pensiero secolare della Chiesa in nome dell’esigenza della nonviolenza. Muller contribuirà alla stesura del discorso “La non-violenza: stile di una politica per la pace”, pronunciato dal Papa nel 2017, in occasione della giornata mondiale per la pace. Nell’opera “Disarmare Dio, il cristianesimo e l’islam rispetto alla non-violenza” (2010) richiama entrambi i monoteismi all’unità spirituale che fonda l’umanità.

Muller è altresì dell’opinione che nessun individuo, che non voglia rinnegare la civiltà umana e intenda preservare la propria dignità, possa offrire consenso previo alla distruzione di massa implicita nella produzione, compravendita e uso di armi nucleari. Essendo sua convinzione che il disarmo multilaterale per via negoziale sia un’utopia, crede necessarie decisioni forti e ispiratrici da parte degli Stati per generare una dinamica virtuosa. La sua posizione, che include l’attuazione di un referendum su una questione in merito alla quale i cittadini del suo paese non sono mai stati consultati, è stata esposta nelle giornate sull’abolizione del nucleare del 2012 e nel libro “Liberare la Francia dalle armi nucleari” (2014).

Scomparso nel 2021, all’età di 82 anni, ha sempre dichiarato che il vero realismo politico è quello della nonviolenza e non si è mai arreso alla fatalità del suo contrario. A maniera di esempio, “Supplica a un premio Nobel per la pace in guerra” (2010) resta una potente denuncia delle incongruenze della politica estera di Barack Obama, ed “Entrare nell’era della non-violenza” (2011) sintetizza una filosofia che dimostra la pertinenza di una dimensione alternativa alla ripetizione meccanicistica e disumana del confronto bellico per dirimere dispute che finiscono per acuirsi e incancrenirsi. Nel 2013, ha ricevuto dal presidente indiano Shri Pranab Mukhergee, il premio internazionale della Fondazione Jamnalal Bajaj per la promozione dei valori gandhiani, riconoscimento che è l’equivalente del Nobel per la pace.

 

Questo articolo è stato pubblicato su EinaudiBlog, il blog della Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica, economia e storia.

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