L’area del Sahel, nell’Africa sub-sahariana, resta in scacco di una crisi che sembra eterna. In questa striscia di terra occupata da dodici paesi, che lungo il “bordo del deserto” attraversa l’Africa da est a ovest per 8.500 chilometri, alcuni di questi hanno subito gravi retrocessi democratici, altri all’insicurezza generalizzata hanno visto sommarsi disastri ambientali, tutti presentano un deficit di buon governo, e ovunque prevalgono insurrezioni islamiste.
Lo scenario ha continuato a deteriorarsi. Le operazioni di estremisti violenti e reti criminali hanno costretto alla chiusura di oltre 10 mila scuole e di circa 7 mila centri sanitari, con milioni di bambine e bambini coinvolti. Questi gruppi armati stanno combattendo tra loro per la supremazia e il controllo delle risorse, spingendo lo stato ai margini e causando privazioni e sofferenze a milioni di persone che fuggono altrove per salvarsi la vita. In effetti, il Sahel centrale affronta sfide multidimensionali: instabilità sociopolitica, livelli senza precedenti di violenza, ed emergenze umanitarie, aggravate dall’impatto del cambiamento climatico. Allo stesso tempo, anche le nazioni lungo la costa del golfo di Guinea hanno assistito a un aumento di attacchi dentro i loro confini che minacciano le vie di trasporto verso zone senza sbocco sul mare.
L’indice del 2022 dell’Institute for economics and peace, con sede in Australia, decreta il Sahel come l’epicentro del terrorismo, con un numero di vittime per questa causa superiore a quello dell’Asia meridionale, del Medio Oriente e del Nord Africa messi insieme. Tra il 2007 e il 2022, sono state uccise 22.074 persone in un totale di 6.408 attentati, rappresentando il 43 per cento su scala globale, un’impennata drammatica rispetto all’1 per cento del 2007. Quattro dei dieci paesi più affettati lo scorso anno si trovano in questa regione, secondo il rapporto, che ha analizzato il terrorismo in 163 nazioni del mondo. Una di queste è il Burkina Faso, dove i morti sono passati da 759 a 1.135; l’incremento maggiore che lo porta al secondo posto, dietro solo all’Afghanistan. Il Mali è al quarto, la Nigeria all’ottavo e il Niger al decimo. Le vittime del fondamentalismo armato di matrice islamica sono aumentate di oltre il 2 mila per cento negli ultimi 15 anni.
In Sudan, il colpo di stato di aprile, seguito a quelli del 2019 e del 2021, ha protratto il caos della guerra civile; in Burkina Faso, teatro di due golpe in otto mesi, il più recente a settembre del 2022, le fazioni jihadiste controllano quasi due terzi del territorio; dopo i rovesciamenti politici nel 2020 e nel 2021, nel nord del Mali lo stato è assente; e anche il Niger versa in condizioni preoccupanti. Le migrazioni forzate in Burkina Faso, Mali e Niger, nel 2022, hanno superato i 2.9 milioni di rifugiati e sfollati interni. Un trend emergente è quello dei burkinabe che si riversano nei paesi limitrofi, il Maghreb, e l’Europa. La violenza è travasata negli stati costieri – Benin, Costa d’Avorio, Ghana e Togo -, con l’effetto domino di diverse migliaia di partenze. Considerata l’interdipendenza fra conflitto, cambio climatico, carestia alimentare, e mancanza di opportunità sociali ed economiche, queste dinamiche sono destinate a perdurare. Nel 2023, si prevedono mezzo milione di richiedenti asilo e quattro milioni di sfollati.
L’importanza geopolitica del Sahel, per le ricchezze minerarie e i flussi migratori, ha fatto sì che dal 2011 ci sia stata una significativa presenza militare dell’Unione Europea (Ue), in particolare di Francia, Danimarca e Germania. Tuttavia, nell’ultimo anno e mezzo, si è verificato un graduale disimpegno, sia dal punto di vista della cooperazione militare sia da quello degli aiuti per lo sviluppo. Paragonati all’Ucraina, i diversi standard di attenzione e investimento nel Sahel si sono fatti evidenti. La Comunità economica degli stati africani occidentali (Ecowas) ha criticato l’Ue per gli scarsi finanziamenti dedicati alla stabilizzazione e, soprattutto, per non essere riuscita ad andare incontro ai bisogni reali o a rispondere alle necessità locali in modo efficace e tempestivo. Questa situazione ha lasciato spazio ad altri attori, come la Russia, che ha ampliato presenza e peso strategico, con l’offerta di supporto militare contro la minaccia jihadista e altre partnership di reciproco vantaggio economico.
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