L’incontro fra i ministri degli esteri cinese, Wang Yi, e russo, Sergey Lavrov, dello scorso marzo è stato tutto tranne un gesto retorico. La dichiarazione unificata alla stampa ha voluto presentare una visione alternativa per la governance del mondo e mettere in chiaro che un ordine globale con gli Stati Uniti in posizione egemonica non è quanto auspicato dalle due potenze e le loro rispettive sfere di influenza.
Questo deciso avvicinamento sarà critico per Washington negli anni a venire, in quanto ne dividerà attenzione e risorse. Infatti, questa convergenza di opportunità e integrazione di capacità, implicano sfide, che seppur diverse, assumono dimensioni superiori alla somma delle loro parti. Gli avvenimenti delle ultime settimane – il più grande spiegamento di truppe russe sul confine ucraino dall’annessione della Crimea nel 2014, e le simulazioni cinesi di incursioni anfibie e aree a Taiwan con l’intensità maggiore degli ultimi 25 anni -, hanno rivelato che l’intesa non solo ha rinvigorito i piani militari di Cina e Russia, ma che i rapporti con questi paesi, anche se su teatri separati, non potranno essere gestiti senza calcolare le ripercussioni su uno o l’altro fronte o contraccolpi che la rafforzerebbero.
Se Pechino potrà aumentare l’arsenale militare grazie alla tecnologia russa, in ciò Mosca troverà un’importante complemento agli sforzi per limitare l’ingerenza statunitense. Russia e Cina hanno condotto esercitazioni militari e navali coordinate, di una grande complessità, nell’Indo-Pacifico e, con l’Iran, nell’Oceano Indiano. Tale concorso, nel lungo termine, permetterà a entrambe di innovare in campo bellico con preponderante rapidità rispetto agli Stati Uniti. I benefici per la Russia sul piano economico, e quello della mitigazione degli effetti delle sanzioni europee e statunitensi, sono altrettanto rilevanti. Con la Cina come mercato finanziario e per quelle esportazioni che la Russia non può collocare nelle nazioni allineate con gli Stati Uniti, si discute di sostituire il dollaro, e i sistemi di pagamento controllati dall’Occidente, nelle transazioni. La riduzione della centralità di Washington finirebbe per annullare l’efficacia dei suoi strumenti di coercizione economica.
Sebbene sia difficile prevedere quale tattica verrà adottata per rallentare lo spostamento della Russia verso la Cina, o cercare di ridefinire la traettoria sino-russa, è certo che l’impegno dell’amministrazione Biden per il multilateralismo, e il ristabilimento di un’ampia base di alleanze, per contrarrestarne l’avanzata, non saranno sufficienti. Si dovrà, piuttosto, essere convincenti nel dimostrare che qualche grado di cooperazione produrrebbe vantaggi. É anche probabile che si verifichino tentativi di capitalizzare nel merito di alcuni punti deboli nella relazione, o interessi contrastati, per esempio in Bielorussia e in Iran, e sperare di contribuire a generare frizioni e una conseguente inflessione nella fiducia reciproca.
Nell’Artico, dove sia la Russia sia gli Stati Uniti stanno cercando di neutralizzare il ruolo di attori extra regionali, fra cui la Cina, potrebbe crearsi l’occasione per un rinnovato dialogo; o ancora, nel contesto del commercio di armi russe in India e Vietnam, stati che hanno in corso dispute territoriali con la Cina. Il congresso degli Stati Uniti, nel 2017, ha approvato misure per renderne difficile o impossibile l’acquisto, ma chissà che l’ago della bilancia non cambi direzione. Washington potrebbe anche intraprendere il cammino della dissuasione, spingendo il tasto dell’ambizione di Mosca, la cui autonomia rischia di essere minata da un’eventuale subordinazione finanziera ed economica alla Cina. C’è solo da sperare che gli Stati Uniti non decidano di alzare la posta della tensione militare con atti dimostrativi e provocatori, con alto potenziale di azzardo.
Questo articolo è stato pubblicato su EinaudiBlog, il blog della Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica, economia e storia.
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