Il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite è il principale meccanismo mondiale per la promozione dei diritti delle persone. In tempi recenti, tuttavia, è stato terreno di manovre che, a partire da interpretazioni estreme di religione, cultura e tradizione, nonché argomenti di sovranità nazionale, insidiano i capisaldi dell’universalità, l’inalienabilità e l’indivisibilità, dell’importante e complesso corpo legislativo a cui è preposto.
Nella sessione in svolgimento dal 6 al 23 giugno, dedicata alla categoria di genere e alla sessualità, con una giornata per l’approfondimento sui diritti umani delle donne, un sodalizio di paesi ultra-conservatori ha presentato una risoluzione di stampo regressivo sulla “protezione della famiglia”. Una tattica astuta che strumentalizza un assunto apparentemente innocente per minare conquiste storiche delle libertà civili. Il testo è invero ostile ai diritti delle donne, i diritti relativi alla sessualità e la riproduzione, i diritti dei bambini, e i diritti delle persone con diverso orientamento sessuale. E’ una campagna, innescata da qualche anno, volta a infiltrare letture patriarcali ed etero-normative nella dottrina dei diritti umani, restringere l’equivalenza di diritti nelle relazioni familiari, e trasferire la loro difesa nell’ambiente domestico, così favorendo l’impunità delle violazioni. Basti pensare che nel corso delle negoziazioni, è stata respinta la totalità degli emendamenti suggeriti.
Il “Gruppo degli Amici della Famiglia” è attivo dal 2014. Fondato da Bielorussia, Egitto e Qatar, il suo nocciolo duro è integrato da Arabia Saudita, Bangladesh, Cina, Federazione Russa, Indonesia, Iran, Libia, Oman, Pakistan, Tajikistan, Turkmenistan, Santa Sede, Somalia, Sudan, Yemen e Zimbabwe. Nelle sue distinte fasi, ha contato con l’adesione di molti più attori, inclusa l’Unione Africana. Il Gruppo opera come un blocco e ha ottenuto l’approvazione di risoluzioni su base annuale che, manipolando varie sfere di diritto, hanno introdotto un linguaggio involutivo, nel Comitato per i Diritti Umani e la Commissione sullo Status della Donna, in aggiunta a bellicosi tentativi di insinuarsi nel dibattito sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibili e ostacolare il mandato dell’Esperto Indipendente sull’Orientamento Sessuale e l’Identità di Genere.
Non stupisce la presenza in questa lista di paesi dove l’omosessualità è un reato penale, ai malati di Hiv-Aids viene negato il visto di ingresso, le bambine sono vendute ad anziani sposi-padroni, nelle denunce per stupro è incriminata pure la vittima per aver commesso il delitto di fornicazione, e dove le donne non possono sottoporsi a interventi chirurgici senza il permesso del tutore, viaggiare o soggiornare in una stanza d’albergo senza un parente, e sono penalizzate su questioni legate a matrimonio, divorzio, tutela dei figli, nazionalità, successione, o non possono nemmeno cantare. Nessuna meraviglia, sebbene venga da interrogarsi sulle prerogative della famiglia e della società che si intenda proteggere. La presenza della Santa Sede, però, non è giustificabile. Se non sorprende dal punto di vista della sua posizione secolare e teologica riguardo all’interruzione volontaria della gravidanza, l’ossessione sul tema del “gender” la conduce a un enorme errore di civiltà (la Santa Sede non ha ratificato la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne dell’Onu).
Il concetto di universalità è la pietra angolare dei diritti umani e stabilisce che siamo ricettori degli stessi diritti per il fatto di essere uomini e donne, senza eccezione di nazionalità, residenza, genere, razza, etnicità, religione, lingua, sessualità, o qualsivoglia altra condizione. Universalità, inalienabilità e indivisibilità sono nodali per i diritti delle donne, per le quali la famiglia è stata, e continua a essere, un luogo di laceranti paradossi, in cui si coltiva l’amore e la vita, ma dove ci si può trovare a lottare nel quotidiano contro la violenza, la repressione della propria realizzazione e lo sfruttamento della propria fatica. Nondimeno con l’ausilio di una grottesca narrativa anti-imperialista, vengono denunciati presunti attacchi intenzionali a fondamenta culturali locali, e si cerca di svicolare dalla giurisdizione dei diritti umani, propugnando la singolarità nazionale – alcuni paesi africani, e criminali di guerra imputati di genocidio, sfuggono persino al Tribunale Penale Internazionale, accusandolo a loro volta di colonialismo. Questo discorso è conseguente ad apparati reazionari che rigettano la diversità, hanno paura della libertà e con certezza ne hanno parecchia delle donne. L’antagonismo a valori etichettati come “occidentali” punta all’erosione dei risultati raggiunti settant’anni di faticoso impegno.
L’aspetto insidioso è quello della priorizzazione della famiglia sui diritti umani individuali. Senza ombra di ammissione degli illeciti che con frequenza avvengono al suo interno, si caldeggia una retorica militante intorno al ruolo giocato nel preservare identità e tradizioni con l’idea che queste siano di per sé innocue e sempre positive. Malgrado ciò è nei nuclei familiari che si perpetrano misfatti brutali, propriamente mascherati da cultura, come la mutilazione genitale, i matrimoni forzati, il lavoro minorile, le punizioni corporali, l’imposizione di gravidanze non desiderate, le angherie fisiche e psicologiche su donne e bambini, le aggressioni sessuali nella coppia e sui figli, l’aborto selettivo (quando il feto è di sesso femminile), il femminicidio, e altre efferatezze in nome dell’”onore della famiglia”. Si tratta di un capovolgimento incompatibile con l’approccio dello sviluppo umano che, centrandosi sui diritti, prevede che gli stati si facciano garanti, attraverso politiche e programmi, della sicurezza e della qualità della vita personali, anche disputando usi e costumi millenari quando dovuto.
L’apologia della famiglia nasconde l’intenzione di incentivarne esclusivamente un certo tipo per concretare una visione univoca e pilotata della società. Peraltro esiste una pluralità di esperienze – monoparentali (rette da donne sole), allargate (dove una mamma o un papà ha scelto un nuovo partner), ricomposte (in cui vi sono nonni e fratelli di un matrimonio precedente), miste, adottive, con genitori del medesimo sesso, in regime di non coabitazione, o di condivisione dopo la separazione – che deve essere presa in considerazione nel confronto. Queste famiglie sono costituite da cittadini e cittadine con bisogni reali che richiedono reti specifiche di protezione sociale. Se si vuole appoggiare la famiglia con serietà e onestà, occorre allora riconoscerle tutte. Il Gruppo ne ha in testa solo una, magari con un capo famiglia onnipotente. Il suo ostruzionismo ha impedito di avanzare con l’agenda dei diritti delle donne in settori cruciali, obbligando a convogliare le energie nella custodia di accordi già pattuiti.
Nessun governo vuole apparire avverso alla famiglia. In ogni caso, non si comprendono a fondo le implicazioni del cartello oltranzista. Le famiglie devono essere sostenute; al contempo, vanno salvaguardati i diritti, e le aspirazioni, di quanti le integrano, eliminando le asimmetrie di potere che generano abusi e discriminazione. Secondo uno studio globale delle Nazioni Unite sull’omicidio, nel 2012, il 47 per cento delle vittime femminili era stata uccisa nel focolare domestico da uno sposo, un compagno, o da un altro congiunto, a differenza del 6 per cento delle vittime maschili. Ben sappiamo quale incidenza abbiano i maltrattamenti domestici. Quando si passano i diritti delle donne in secondo piano, il sistema famiglia, che in tutte le società propende a coprire chi esercita la forza, può agire nel silenzio totale. Non si può far finta che non ci siano famiglie che non si comportano in maniera democratica e partecipativa e sono per l’opposto gerarchiche e autocratiche.
Il “Gruppo degli Amici della Famiglia” ha costruito una nuova classe di “diritti parentali”, che non ha supporto nella disciplina dei diritti umani, e mette a repentaglio l’applicazione della Convenzione per i Diritti dei Bambini. Le vessazioni sui minori consumate in seno famiglia sono circondate dall’omertà o dalla complicità. Nel momento in cui lo stato privilegia la protezione della famiglia si crea un ulteriore deterrente, oltre a quello psicologico e sociale, nella messa a nudo delle situazioni a rischio e l’esecuzione di azioni di custodia e sanzione. Gli individui, in quanto possessori di diritti, devono poi avere la facoltà di presiedere le proprie vite e i propri corpi. Ciò acclude la possibilità per le donne di prendere decisioni autonome, e pienamente informate, sulle opzioni pertinenti alla sessualità e alla salute riproduttiva, e poter accedere a servizi adeguati. L’empowerment in questo ambito è funzionale alla prevenzione di gravidanze in età precoce in contesti di alta incidenza e il contagio di malattie trasmesse per via sessuale. Soprattutto sfata tabù, trasforma norme oppressive o ne diminuisce l’influenza coattiva. Se invece si avvalora in prima istanza la famiglia, si finiscono per potenziare quelle strutture dove le donne devono ottenere il consenso del marito per accedere alla contraccezione, alla cura dell’Hiv-Aids, o per svolgere un’attività lavorativa.
Laddove l’unità familiare è auspicata a discapito dei diritti dei suoi singoli membri, si possono perpetuare disparità e ingiustizia. Il procedimento deve essere inverso. Per avere famiglie salde, eque, e prospere, è necessario assicurare i diritti di tutti i loro componenti. Le famiglie sono un motore di uguaglianza, se vengono aiutate a evolvere, oltre le iperboli che le dipingono come spazi di legami virtuosi per natura, e barriere al trionfo dell’individualismo e la dissoluzione delle società, troppo spesso a schermo di pratiche lesive della dignità e la libertà dei più vulnerabili.
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Quando nel 1948 fu votata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dei 58 paesi che al tempo facevano parte delle Nazioni Unite, 48 votarono a favore, 8 si astennero, fra cui Arabia Saudita, Bielorussia e Unione Sovietica, e 2 risultarono assenti, fra cui lo Yemen, tutti paesi del “nocciolo duro” del “blocco oltranzista” ben descritto nell’articolo.
“Tutto ciò che ha valore nella società umana dipende dalle opportunità di progredire che vengono accordate ad ogni individuo” – Albert Einstein
Bella foto di Eleanor Roosevelt: uno dei miei personaggi storici di riferimento! E’ stata la forza motrice dello statuto delle libertà, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che sarà sempre considerata il suo retaggio.
Eleanor Roosevelt ha sostenuto il raggiungimento di pari diritti per le donne e gli afroamericani. Ha anche portato all’attenzione della politica le cause della classe lavoratrice nel periodo della Grande Depressione.
Quando alla cantante nera Marian Anderson nel 1939 venne negato l’accesso al Constitution Hall, Eleanor Roosevelt si adoperò perché potesse invece esibirsi sui gradini del Lincoln Memorial.
Ho appena scoperto questo sito e devo dire che è una miniera d’oro!